di Daniele Benfanti (il T)
Classe 1943, di Vermiglio, in Val di Sole, paese di cui è stato sindaco, Flavio Mosconi è stato presidente del Comprensorio, consigliere provinciale e regionale e presidente della Commissione dei Dodici, ed è un grande esperto di autonomia. Nel 1964 si è iscritto alla Democrazia Cristiana. Nel 1998 a Forza Italia, in cui ha militato fino al 2008. I suoi punti di riferimento politici sono stati Bruno Kessler e Flavio Mengoni a livello trentino, Aldo Moro sul piano nazionale.
Mosconi, cosa le dà più fastidio del dibattito degli ultimi anni sull’autonomia?
«Non condivido la narrazione che sembra prevalere sull’origine della nostra autonomia. Ai trentini vanno indirizzati messaggi di verità storica e documentale, rifuggendo dalle fantasie, dalle forzature, dai sentimentalismi e dalle convenienze politiche. Su alcuni punti, una volta tanto, tutti dovrebbero convenire. In particolare, tutti dovrebbero riconoscere che la Regione è il ramo che sorregge, legittima e giustifica l’autonomia del Trentino».
A differenza di altri politici e studiosi dell’autonomia, lei ritiene che l’autonomia sia stata concessa e non riconosciuta…
«Faccio sempre più fatica a comprendere per quale motivo qualcuno, anche ai vertici delle pubbliche istituzioni, insista nel sostenere che la nostra autonomia non è stata concessa ma riconosciuta perché “preesistente, nei suoi presupposti, al riconoscimento giuridico formale”. Io invito a rileggere Monsignor Igino Rogger. Ecco il testo ripreso dalla sua lectio Degasperiana del 2009: “Con l’autonomia regionale approvata dall’Assemblea Costituente, nel gennaio 1948, i trentini conseguirono d’un tratto l’adempimento delle loro aspirazioni e lo ottennero con uno Statuto che li rendeva partecipi dell’attuazione dell’accordo stipulato a tutela della minoranza etnica sudtirolese, dotato di una particolare garanzia internazionale”. Qualcuno può sostenere che nella storia secolare del Trentino sia mai esistita una forma di autonomia anche lontanamente paragonabile a quella concessa nel 1948, in termini di capacità legislativa, potere decisionale e dotazione finanziaria, alla Regione Trentino – Alto Adige? L’autonomia del Trentino è sicuramente un dono di Degasperi, forte anche delle pressanti rivendicazioni provenienti dal basso ad opera dell’Asar “Associazione Studi Autonomistici Regionali”».
Per Monsignor Rogger, insomma, una sorta di privilegio, come ribattono spesso dal vicino Veneto, dalla Lombardia, da altre regioni italiane…
«Continuo a citare il Monsignor Rogger del 2009: “Sono evidenti i vantaggi che il Trentino ricavò da questa posizione, a cui si deve nel concreto anche il carattere del tutto speciale dell’autonomia trentina. Converrà non dimenticare che ancor oggi essa si regge su questa base, pur con tutte le modifiche apportate in seguito con gli statuti successivi. Da allora è rimasto aperto l’interrogativo sollevato sui fronti diversi, se non costituisca un privilegio indebito questa inclusione del Trentino in un regime di autonomia voluto e creato primariamente come strumento di tutela della minoranza etnica sudtirolese”. L’avverbio “d’un tratto” non dovrebbe lasciare dubbi di sorta. Quindi lo definirei un privilegio condizionato».
Dunque un’autonomia un po’ fortunosa, maturata in un contesto favorevole, quella trentina?
«No, non la definirei fortunosa perché, in un contesto estremamente difficile e delicato, è stato proprio Degasperi a indicare il quadro regionale all’interno del quale far nascere e crescere la convivenza di popolazioni di lingua diversa: assicurare l’esercizio di un potere autonomo agli abitanti di lingua tedesca della Provincia di Bolzano e quelli dei vicini comuni bilingui della Provincia di Trento e, contemporaneamente, soddisfare le aspirazioni degli abitanti della Provincia di Trento e garantire anche l’esistenza e tutti i diritti alla minoranza italiana nella provincia di Bolzano».
Lei è una voce fuori dal coro anche nel contestare l’etichetta di Secondo Statuto di autonomia, quello del 1972, celebrato con il cinquantesimo l’anno scorso…
«Io preferisco parlare sempre di Statuto, quello approvato nel 1948, perché lo Statuto è uno solo. Il decreto del Presidente della Repubblica del 3 agosto 1972, n. 670, ha approvato il Testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto Speciale per il Trentino-Alto Adige. Tutto ciò che legislativamente è stato prodotto dopo il 1948 riguarda l’attuazione dello Statuto. I trentini dovrebbero celebrare e festeggiare la ricorrenza del 26 febbraio perché è da quel giorno del 1948 che ha avuto inizio l’epoca di un Trentino dotato di una speciale forma di autonomia legislativa e di una considerevole dotazione finanziaria. Un’autonomia, quindi, che esiste da 75 anni e non da 50 come risulta dai manifesti celebrativi del 2022 e dai vari interventi apparsi sulla stampa. Le modifiche allo Statuto del 1972 hanno fatto giustizia delle sacrosante rivendicazioni dell’Alto Adige».
Sempre più spesso ci interroghiamo: esiste ancora la Regione?
«Da noi la Regione è stata confinata nella discarica della storia. Il clamoroso falso storico introdotto in Costituzione nel 2001 ha stravolto alle radici l’impianto legislativo dell’autonomia speciale del Trentino-Alto Adige, demolendone la caratteristica fondamentale: la tripolarità degli enti sul territorio regionale. Le due Province sono diventate autonome e distinte, di fatto due Regioni autonome. Come se la Regione non fosse mai esistita».
Secondo lei è stato in qualche modo disatteso il progetto degasperiano per la specialità delle nostre terre?
«Direi proprio di sì. Dall’autonomia della convivenza siamo passati, purtroppo, all’autonomia della separatezza».
L’autonomia differenziata è uno specchietto per le allodole, un’ipotesi concreta? Le autonomie speciali devono temerla o incoraggiarla?
«Direi che non va temuta dalle speciali. Si tratta di due forme sostanzialmente diverse di autonomia, come risulta chiaramente dall’articolo 116 della Costituzione che definisce “particolari” le forme di autonomia di cui dispongono il Friuli-Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta, mentre ad altre Regioni possono essere attribuite, con legge dello Stato, ulteriori forme di autonomia in determinate materie. Come noto, l’autonomia concessa al Trentino-Alto Adige vanta motivazioni e presupposti del tutto particolari e straordinari, anche di natura internazionale. È chiaro che la clausola dell’intesa per la modifica delle Statuto speciale, quella bocciata dal referendum del 2006, rappresenterebbe il massimo delle garanzie contro possibili decisioni unilaterali, ovviamente da parte dello Stato».
Il futuro della nostra autonomia e della Regione? È antistorico credere di nuovo nella Regione?
«L’operazione di svuotamento della Regione, ho sempre sostenuto, non è un processo irreversibile. Pensiamo a come avrebbe potuto essere la nostra regione se si fosse realizzato un ospedale regionale, un aeroporto regionale, una università bilingue regionale, un sistema regionale di politiche ambientali e infrastrutturali, tanto per fare alcuni esempi. Alcune competenze potrebbero essere assegnate alla Regione nell’ottica di un adeguamento ai tempi che viviamo, in una prospettiva di valorizzazione di una comunità di un milione di abitanti posta sull’asse del Brennero, nel cuore dell’Europa alpina».