l’Adige, 1 maggio 2020
Mi è stato chiesto, da più parti, cosa penso del dibattito che si è aperto sui rapporti della nostra Provincia con lo Stato in materia di finanza pubblica. Per comprendere bene ciò che penso ora è necessario chiarire ciò che pensavo nel lontano 2009.
Cioè, quando la nostra Provincia, nella persona del suo Presidente Lorenzo Dellai, si è fatta promotrice di una iniziativa legislativa finalizzata ad una radicale revisione del Titolo sesto del nostro Statuto di Autonomia che riguarda, appunto, la finanza della Regione e delle Province. Sto parlando del famoso (famigerato) patto di Milano.
La stampa dell’epoca riportava titoli e dichiarazioni mirabolanti sul significato e la portata del patto. Il Presidente trentino: «Preso noi l’iniziativa». Il giornale riferendosi ancora al Presidente: «Il governatore trentino Lorenzo Dellai da tempo aveva elaborato, insieme al dirigente Ivano Dalmonego, una proposta di nuovo modello finanziario che ha sottoposto al Governo diventando l’ossatura dell’accordo». Altro titolo: «Kessler e Pd contro Dellai: fa da solo». «Rossi: È una giornata di lutto per l’autonomia, ma abbiamo ridotto i danni». Fugatti: «L’autonomia è salva, solo bugie contro il governo». Campeggia il titolo «Il federalismo taglia 550 milioni l’anno». Ancora Dellai: «Ora dovremo basarci sui 9/10».
Maggioranza e opposizione esultano, Palazzo Chigi definisce l’accordo “soddisfacente”, quindi tutti felici e contenti.
Ma in realtà cosa è avvenuto? È avvenuto che i “nove decimi di tutte le entrate tributarie erariali, dirette o indirette, comunque denominate (art. 75 dello statuto) garantiti da una legge di rango costituzionale non esistono più. E ciò per effetto di una legge ordinaria che ha ratificato il patto di Milano introducendo nello statuto il nuovo articolo 79 che deve essere letto molto attentamente per avere consapevolezza dell’entità delle risorse che competono alla Provincia per esercitare le proprie competenze.
«Questo accordo – precisava ancora Dellai – è una dimostrazione di grande maturità da parte nostra e un compromesso che consente di rafforzare l’autonomia. Saremo chiamati in futuro a basare la nostra autonomia ancora più sulla gestione dei 9/10 di tutte le imposte».
A distanza di dieci anni mi chiedo ancora, in assoluta solitudine, come si possa sostenere che la scriteriata rinuncia alla garanzia costituzionale dei 9/10 di tutte le imposte rappresenti un rafforzamento dell’autonomia, posto che la citata legge ordinaria i decimi li ha fatti diventare statutariamente e immediatamente meno di 7.
Di più. È stata sancita anche l’irreversibilità della geniale riforma del titolo sesto dello statuto con il comma 2 del novello articolo 79 che recita: «Le misure di cui al comma 1 (la riduzione delle somme annualmente spettanti alla Provincia) possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista dall’articolo 104 dello statuto, vale a dire con una legge ordinaria». Il che equivale ad un addio definitivo alla garanzia di rango costituzionale sui 9 decimi di tutte le entrate erariali.
Il successivo accordo di Roma si pone in continuità con il patto di Milano salvo alcuni rilevanti aggiornamenti fra i quali meritano particolare attenzione il comma 4-bis del citato articolo 79 che determina in 905,315 milioni di euro il contributo annuo della regione e delle province alla finanza pubblica per gli anni dal 2018 al 2022; il comma 4-ter che disciplina le modalità di rideterminazione del contributo annuo a decorrere dal 2023 e il comma 4-septies che recita: «È fatta salva la facoltà da parte dello Stato di modificare, per un periodo di tempo definito, i contributi … previsti a decorrere dall’anno 2018, per far fronte ad eccezionali esigenze di finanza pubblica nella misura massima del 10 per cento più un eventuale ulteriore 10 per cento dei contributi stessi nel caso in cui siano necessarie manovre straordinarie».
Traccia del mio pensiero dell’epoca trova riscontro nel mio intervento del 27 maggio del 2011 al convegno «La prospettiva federalista: un’autonomia per l’Europa» promosso e realizzato dall’Associazione ex Consiglieri regionali, del quale riporto il passaggio riguardante proprio il patto di Milano.
«Da ultimo non posso nascondere le mie forti perplessità sull’opportunità e la convenienza per il Trentino dell’ormai famoso “patto di Milano”, da tutti (o quasi) giudicato come un accordo addirittura geniale che dovrebbe rafforzare le nostre prerogative autonomistiche per quanto riguarda la finanza della Regione e delle Province, materia trattata dal titolo VI dello Statuto.
Dei contenuti e del merito dell’accordo do una lettura diversa da quella finora ufficializzata dai vertici provinciali, ma in questa sede mi limito ad osservare che, attivando le procedure previste dall’articolo 104 dello Statuto, è stata aperta un’altra breccia nel fortino della nostra autonomia, dal momento che questo articolo è l’unico che consente, su concorde richiesta del Governo, della Regione e delle due Province, di modificare una parte dello Statuto di Autonomia con legge ordinaria dello Stato».
Questo è ciò che pensavo dieci anni fa ed è quello che penso tuttora, argomentando non sulla base di opinioni personali o di valutazioni di comodo ma sulla scorta di verificabili atti legislativi ed amministrativi.
Mai e poi mai avrei rinunciato alle garanzie di rango costituzionale a tutela dell’intangibilità delle nostre prerogative statutarie. Che bisogno c’era di fare ricorso all’articolo 104 dello Statuto quando si sarebbe potuto demandare a specifiche trattative di fattiva e leale collaborazione il compito di definire entità e condizioni del contributo regionale e provinciale al risanamento della finanza statale? Ecco la domanda che non ha mai avuto risposta.
Per venire ai giorni nostri, comprendo perfettamente le preoccupazioni manifestate dal governo provinciale riguardanti la complessiva dotazione finanziaria del bilancio a sostegno dell’esercizio delle proprie competenze e funzioni in un momento drammatico come quello che stiamo vivendo. Per dovere di completezza e consapevolezza si deve anche evidenziare che l’onere di devolvere allo Stato 430 milioni di euro annui è un impegno di natura e portata statutaria, la cui eventuale modifica può avvenire esclusivamente con una legge dello Stato e che, sempre statutariamente, lo Stato potrebbe pretendere addirittura una maggiorazione del 10 o del 20 per cento di tale somma.
Flavio Mosconi
Già consigliere regionale
e presidente della Commissione dei dodici